Vaticano e Azerbaigian, insieme per la cultura (e per la pace)
Il Vaticano è l’impero universale per definizione: non v’è continente sul quale non abbia ramificazioni, dove non faccia proseliti e in cui non abbia interessi da promuovere e difendere. Curiosamente, ma non sorprendentemente, la Chiesa cattolica, in quanto potere innatamente ecumenico, ha alle spalle una lunga tradizione di alleanze, sponde e contatti con nazioni non appartenenti alla civilitas christiana, dal sultanato ottomano di Bayezid II alla Cina degli Yuan.
Oggi come in passato, seguendo e raccogliendo il lascito di Giovanni Paolo II, la Chiesa cattolica sta portando avanti un disegno interconfessionale di caratura globale avente come obiettivo primo e ultimo la costruzione di un ordine internazionale incardinato sul dialogo e sulla cooperazione tra civiltà e religioni. È in questo contesto che si inquadrano, ad esempio, il Documento sulla fratellanza umana siglato con Ahmad Al-Tayyeb, il grande imam di al-Azhar, e il recentissimo viaggio apostolico di papa Francesco nel tormentato Iraq.
Un numero crescente e nutrito di nazioni sta sposando la weltanschauung del Vaticano basata sul pax et bonum, condividendone valori e missione, ed una parte non trascurabile di esse giace nell’ecumene, al di fuori della Vecchia Europa. Fra queste figurano gli Emirati Arabi Uniti, che stanno tentando di promuoversi quali unica petromonarchia wahhabita religiosamente pluralistica, il Kazakistan, che è divenuto la casa mondiale della tolleranza su impulso di papa Wojtyla, e l’Azerbaigian di Ilham Aliyev.
Mentre i rapporti fra Chiesa cattolica e Abu Dhabi godono di maggiore notorietà presso il pubblico, anche perché oggetto di un’ampia popolarizzazione mediatica, quelli con Baku, pur essendo altrettanto rilevanti e meritevoli di attenzione, vengono ingiustamente bistrattati dalla realtà dell’analisi politica.
L’accordo del 4 marzo
La Fondazione Heydar Aliyev è fra i più grandi protettori del ricchissimo ed inestimabile patrimonio culturale e artistico del Vaticano; un patrimonio che viene custodito con gelosia e preservato attraverso regolari lavori di restauro. Le attività della Fondazione fuori e dentro le mura pietrine sono state storicamente focalizzate sulla palingenesi di opere d’arte, sarcofagi ed elementi di archeologia sacra, e nei giorni scorsi è stato siglato un accordo su questo tema.
Il 4 marzo, la Fondazione e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra hanno concordato l’estensione di un accordo vigente per la valorizzazione e il restauro delle catacombe di Commodilla, un importante sito cimiteriale localizzato nel quartiere capitolino della Garbatella che prossimamente sarà aperto al pubblico.
Il testo, che è stato firmato dall’influente cardinale Gianfranco Ravasi e dal direttore della Fondazione, Anar Alakbarov, durante una cerimonia in forma fisica svoltasi presso la sede del Pontificio Consiglio della Cultura, ha appaltato all’ente azero l’onere–onore di mettere a nuovo il complesso cimiteriale, dedicando particolare attenzione a due siti ivi collocati, la Regione di Leone e la Basilichetta dedicata ai martiri Felice e Adautto.
I lavori presso la Regione di Leone sono già cominciati, invero l’accordo è stato preceduto da alcuni sopralluoghi preliminari ed operativi interamente finanziati dalla Fondazione Aliyev, parimenti a quelli presso la Basilichetta, dove gli esperti dell’ente azero stanno restaurando due pregiate opere ivi contenute: un quadro sui martiri Felice e Adautto e una scena murale sulla “consegna delle chiavi” (Traditio Clavium).
Il Vaticano, evidentemente, ripone una fiducia cieca nelle competenze dei restautori della Fondazione, osservate e apprezzate in anni di collaborazione profittevole, perché il lavoro sul dipinto murale si preannuncia realmente ostico. Nella scena raffigurata, infatti, è presente “l’unica immagine ancora leggibile nella sua interezza della martire Merita”, un personaggio venerato nelle catacombe di Commodilla, ergo non sono ammessi errori.
Le attività recenti
Come riporta l’Agenzia di Informazione Religiosa (AgenSIR), citando a sua volta una nota ufficiale della Pontificia Commissione, l’accordo di inizio mese “costituisce solo l’ultimo passo della lunga e proficua collaborazione che, grazie al generoso contributo della Heydar Aliyev Foundation, ha consentito alla Pontificia Commissione di archeologia sacra di restaurare numerosi monumenti pittorici nelle catacombe dei santi Marcellino e Pietro ad duas lauros e, in seguito, la collezione di sarcofagi conservata presso il complesso monumentale di San Sebastiano fuori le mura, aggiornandone anche l’allestimento”.
Fra le opere restaurate dagli specialisti azeri negli anni recenti risaltano, per importanza, i sarcofagi delle catacombe di San Sebastiano e, curiosamente, un bassorilievo dell’incontro di Leone Magno con Attila – ossia del primo contatto tra i figli di Roma e la progenie di Turan – contenuto nella Basilica di San Pietro e risanato l’anno scorso.
Non solo arte
La Fondazione Aliyev, in sintesi, risulta fra i più grandi curatori del patrimonio vaticano, le cui opere murali, su tela, in pietra e in marmo stanno venendo custodite dai restautori da oltre un decennio. La cooperazione tra l’ente e il Vaticano, però, lungi dall’essere meramente circoscritta alla sfera del patrimonio culturale, ha tradizionalmente funto da testa di ponte per il dialogo più esteso fra le parti.
La Fondazione Aliyev, del resto, è uno degli instrumenta regni con i quali Baku proietta il proprio potere morbido nel mondo, perciò i rapporti con la Santa Sede, emblema e simbolo della Cristianità, sono tanto intensi quanto estesi. Lo stesso cardinale Ravasi, commentando la firma dell’accordo, da lui definito “una pietra miliare nelle relazioni tra Vaticano e Azerbaigian”, ha dichiarato che la collaborazione con la Fondazione “non serve soltanto a proteggere il patrimonio culturale, ma contribuisce anche allo sviluppo del dialogo interreligioso”.
Non deve sorprendere, quindi, che i delegati della Fondazione Aliyev fossero giunti in Vaticano con al seguito i rappresentanti delle varie comunità religiose della più grande nazione sudcaucasica, illustrando alla diplomazia pontificia il quadro della situazione e proponendole l’opportunità di fare ingresso nel Nagorno Karabakh a supporto del processo di ricostruzione. Perché il Caucaso meridionale è una regione che ha bisogno di trasformare la fede in un fattore di unione e chi meglio dei seguaci dei pontefici, costruttori di ponti per antonomasia, potrebbe contribuire al processo di pace?
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